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Importare dall'Asia per rivendere in Rete.
Lunedì 12 Maggio 2008
autore: Redazione InterTraders Tra marketing e tradizioni quel che è necessario sapere dell'Estremo
Oriente per far crescere l'e-commerce nostrano. International Traders intervista
Paolo Cacciato di Corriere Asia.
Cina, Giappone, Corea, quante volte si sente parlare di questi Paesi e quante
volte la loro produttività sollecita smanie e ambizioni dei merchants
italiani, interessati ad importare la merce più disparata per rivenderla in
Italia. In uno scenario del genere Internet è indubbiamente una piccola
Eldorado, dove la ricerca continua del low price da parte dei consumatori da un
lato e quella del business "facile" da parte delle aziende dall'altro, si
fondono in un unico binario sul quale viaggia e si concretizza il successo di un
sito di e-commerce.
In che direzione si muove l'e-business? Quali Paesi asiatici offrono maggiori
chances di guadagno in Rete?
Sono solo alcune delle domande che interessano i tanti commercianti italiani,
affascinati dai possibili guadagni offerti dall'e-commerce e
dall'import-export con i principali mercati asiatici. Interrogativi che abbiamo deciso di rivolgere ad un esperto del settore,
Paolo Cacciato, business
mediator per il mercato cinese e giapponese, coordinatore di Asian
Studies Group - asianstudiesgroup.blogspot.com (associazione
multidisciplinare specializzata nella formazione linguistica e culturale per la
lingua giapponese e cinese) e Direttore Editoriale di Corriere
Asia - www.corriereasia.com (magazine di economia, attualità e
cultura dei Paesi asiatici).
Nel ringraziare il Dr. Cacciato per la disponibilità, riportiamo a seguire il
testo integrale dell'intervista.
ITraders: "Negli ultimi tempi spuntano come funghi su
Internet siti dedicati all'importazione di prodotti dai Paesi asiatici: portali
che permettono anche a chi non ha grande esperienza in materia di realizzare
elevati margini di guadagno. Cosa ne pensa? Si tratta di un fenomeno passeggero
o è in questa direzione che muoverà il futuro del commercio elettronico b2b e
b2c?."
P.Cacciato: "Sicuramente questa svolta nei servizi di
supporto all’espansione della rete commerciale internazionale, rivela un
bisogno concreto e crescente. Durante i miei mesi di lavoro a Shanghai presso
una legal company specializzata, operando come mediatore per la lingua cinese e
responsabile marketing per i servizi dell’azienda con cui mi presentavo,
durante tutte le fiere di settore la richiesta era sempre la stessa: agevolare
un servizio che permettesse e facilitasse sempre più i rapporti di import /
export fra Italia e Cina. L’impressione che ho avuto, e su cui ho avuto modo
di riflettere, è che il bisogno del piccolo o medio imprenditore italiano sia
quello di avere una comunicazione facile, veloce e sicura con quei panorami
commerciali, Cina e India in primis, che ormai per consuetudo sociale e di
mercato sono divenuti tappa obbligatoria per chi spera di non arrivare in
ritardo a compiere qualche guadagno.
Non sono sicuro che il successo verrà totalmente dalla commercializzazione
elettronica del servizio. Continuo infatti a constatare il bisogno delle aziende
italiane di confrontarsi costantemente con un interlocutore, di fare riferimento
a una struttura nonché di avere percezione fisica del servizio stesso. Elementi
che spesso mancano al commercio elettronico, avvertito, talvolta in maniera
fuorviante, come impalpabile e instabile.
C’è anche da dire però, a sostegno della categoria di professionisti
specializzati nel commercio elettronico o anche semplicemente in una policy
manageriale al passo con le tecnologie comunicative, che spesso in Italia è
d’abitudine scontrarsi con lentezze e incapacità di valorizzazione degli
strumenti informatici e della rete globale, tali da vanificare il valore
aggiunto e i punti di efficienza che il commercio elettronico spesso dovrebbe
realizzare."
IT: "Anche su eBay è frequente la presenza di venditori
(professionali e non) che si servono del portale di aste per importare dall'Asia
e rivendere in Italia. Volendo dare loro un consiglio, in che tipologia
merceologica è bene investire in questo periodo? E in futuro?"
P.C.: "Un consiglio di questo tipo avrebbe bisogno, per
prima cosa di una chiarificazione. Parlare di settori di riferimento per import
/ export significa soprattutto saper distinguere i mercati e comprendere le
profonde diversificazioni sociali e culturali connesse. E’ ormai comune sentir
parlare di Cina come mercato “spugna”, India come traino del profitto da
delocalizzazione dei terziario, Corea del Sud come lavatrice di consumi
generali. Quello che mi preme specificare è che parlare di East Asia come
eldorado commerciale significa avvicinarsi ad una diversificazione molto fitta
di bisogni e parallelamente a culture commerciali profondamente diverse,
caratteri questi spesso e troppo ignorati in funzione di un commercio facile,
veloce e senza problemi come spesso i venditori on line promettono. Sorrido
quando leggo di professionisti commerciali che operano su India, Cina, Giappone,
Corea, Thailandia …in ogni paese allo stesso modo come se fosse lo stesso e
con la medesima impronta di appeal commerciale. Il discorso vale soprattutto per
l’export ovviamente, ma si ripropone anche nell’import. Capire i punti di
forza di un mercato anche in termini di produzione ci permette di ponderare con
facilità da dove importare, cosa, con quali garanzie e con quali differenze
nella comunicazione.
Forse la mia perplessità per una sorta di “omologazione” nell’approccio
funzionale all’import ed export con l’Asia, proviene più dalla mia
formazione di mediatore linguistico e culturale che non dal carisma d’affari
proprio di un business man, ma rimango convinto che per quanto si parli di
global communication e di global market, certe distinzioni siano di norma, anzi
possano rappresentare il valore aggiunto alla marketing strategy di un singolo
venditore, così come di un’azienda.
Per quanto riguarda le merci da importare potrebbe essere un discorso poco serio
se affrontato su due piedi. Mi basta dire che la Cina, ormai da centinaia di
anni, produce per sé stessa tutto ciò di cui il 90% della popolazione ha
bisogno. Il business starà allora in quel 10% che stranamente da un ventennio a
questa parte sente il bisogno di possedere “altro”. Per quanto riguarda
l’import dalla Cina, tutto è ormai importato direi, ma non devo essere io a
ricordare che high tech cinese non è high tech giapponese. Sui tessuti, invece,
anche i giapponesi più critici importano praticamente tutto dalla Cina, ma
ovviamente parlo di prodotti a basso costo. Il luxury è un altro mondo e qui
gli Italiani dovrebbero cominciare a giocar pesante."
IT: "Molti imprenditori italiani (piccoli e medi) sono
costantemente in cerca di mercati asiatici in cui investire. Vi è un Paese in
particolare che, in base alla sua esperienza di business mediator, potrebbe
offrire maggiori chances di guadagno in futuro?"
P.C.: "Non smetto mai di ripeterlo nell’ultimo periodo.
Un mercato di successo se ben approcciato è rappresentato dal Giappone. Un
Paese lento nella trattativa commerciale, il Giappone riserva migliaia di
ostacoli comunicativi e di cerimonialità, ma è uno dei mercati più sicuri,
stabili e, lasciatemelo dire, appaganti al mondo. Negli ultimi sei mesi opero
come ricercatore e business mediator per diverse aziende che pur operando su
settori diversi (termostatico da una parte e lusso dall’altra) continuano a
scegliere di investire sul Giappone e di rallentare sulla Cina. I risultati
arrivano, forse meno sconvolgenti di quanto potrebbe accadere a parità di
successo in mercati più ampi come Cina e India, ma fortemente gratificanti.
Noto infatti che in Giappone l’imprenditore italiano riesce a muoversi con
più tranquillità. Quando lavoravo a Shanghai, invece, il primo consiglio era
quello di tutelarsi in termini legali di tutela della proprietà intellettuale,
sulla stipulazione dei contratti etc.
Il Giappone rimane, nel bene e nel male un mercato di samurai, dove il codice
d’affari è profondamente radicato ad un’etichetta. La Cina è l’impero
dei commercianti, valorizzabile certamente per l’entusiasmo della
compravendita e dell’energia produttiva, ma su cui è necessario munirsi del
supporto adatto.
Per quanto riguarda le chances di guadagno bisognerebbe distinguere settore per
settore e soprattutto non accanirsi dietro luoghi comuni. Porto solo un esempio:
il vino. I giapponesi lo bevono, lo conoscono, lo studiano e anche se la fetta
di mercato generale non è enorme, essa rappresenta comunque una clientela di
raffinati appassionati. In Cina il vino non è ancora capito, non è ben
conosciuto, ma rappresenta sicuramente una moda per i più ricchi. E il
guadagno può essere affrontato proprio cavalcando la scia di questa popolarità
ma non su altre certezze. Da qui bisogna partire con due consapevolezze. Primo
che ai cinesi comuni il vino non piace, cosa che li distingue dal giapponese
medio, secondo che, piaccia o no, che i francesi sono arrivati prima e
continuano a vendersi meglio."
IT: "Quali sono i beni che noi italiani importiamo
maggiormente dall'Oriente e che destiniamo al commercio b2c (business to
consumer)?"
P.C.: "Qui posso parlare più da curioso che da diretto
coinvolto dato che lavoro più come mediatore “direttamente e fisicamente”
coinvolto con interlocutori cinesi e giapponesi. Sicuramente ho notato una
crescita enorme delle vendite di apparecchiature foto, audio digitali dalla Cina
in Italia e in Europa. Io stesso ho acquistato qualche cosa con pessimo
riscontro nella qualità. Ora quando devo fare acquisti di questo tipo compro
direttamente high tech da Tokyo o meglio ancora da Hong Kong, ma questo
privilegio forse lo ha chi viaggia molto."
IT: "Vendere on line permette di avere un bacino di utenti
potenzialmente indefinito, cosa consiglierebbe a chi è interessato a vendere
anche all'estero? Del "made in Italy" quali sono i beni maggiormente esportati
in Asia?"
P.C.: "Consiglio a tutte le aziende interessate a vendere
in Asia di armarsi prima di tutto di un abile comunicatore con conoscenza
linguistica e socio culturale di settore. Pensare che cinesi e taiwanesi siano
la stessa cosa potrebbe ad esempio condurre ad errori irreversibili per la
riuscita di una buona trattativa commerciale. Seconda cosa, valorizzare la
strategia di marketing con strumenti che catturino l’attenzione dei nuovi
ricchi sia essi cinesi o sud coreani per esempio. Mi riferisco appunto a
piattaforme da shopping online, presentato nella lingua di riferimento e
richiamando simbologie di pubblicizzazione appetibili per i clienti finali.
Ricordo a questo proposito che i sud coreani possiedono il primato mondiale per
lo shopping online (v. articolo pubblicato recentemente su Corriere Asia, ndr).
Terzo, sono sempre più convinto che il “made in Italy” rappresenti
l’ultima se non forse l’unica carta da giocare per vincere in termini di
visibilità e di eccezionalità su questi mercati. Inutile dire che il lusso
rappresenta un’isola felice, così come la moda ma anche il food. Quello che
manca, forse, è rivestire questo made in Italy, dietro cui forse nascondiamo
molte paure e perché no anche difetti, di eccezionalità comunicativa, di
puntualità e rigore e perché no anche di ottimismo. I risultati non
tarderebbero ad arrivare."
Redazione InterTraders
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