La stabile organizzazione tecnologica e le nuove frontiere della tassazione.
Lunedì 21 Gennaio 2008
autore: Boris Bivona Con l’avvento della globalizzazione informatica rivoluzionate le abitudini
dei consumatori e l’attività degli imprenditori
In questo rinnovato contesto la possibilità, per le imprese, di
servirsi di Internet ha portato all’attenzione generale il problema di
come determinare e tassare il reddito. La peculiarità di questo nuovo
tipo di attività è di prescindere da elementi materiali tipici del
commercio tradizionale.
L’11 agosto 1984 ha segnato un punto di partenza nella storia economica
mondiale: una vera e propria svolta epocale nel modo di fare commercio. Risale
a quella data, infatti, il primo acquisto, di cui si abbia notizia certa,
eseguito da parte di uno studente della Stantford University, di un compact
disc, contenente canzoni del cantante "Sting", per la somma di 12,5 dollari,
effettuato con il sistema del commercio elettronico.
I precedenti storici in materia
Lo sviluppo di tecniche di vendita diverse da quelle tradizionali trova un
remoto antecedente nel rapporto del 1978 del Comité de la Politique
à l’egard des consomateurs dell’Ocde, dedicato alle
Ventes par correspondance et autres systèmes de ventes à
distance. Tuttavia, è con la direttiva n. 85/577/CEE del Consiglio
del 20 dicembre 1985 che sono state armonizzate le regole europee dei
contratti, negoziati fuori dei locali commerciali. In seguito
all’impetuoso sviluppo di Internet, il legislatore comunitario è
nuovamente intervenuto con la direttiva n. 97/7/Ce del Parlamento europeo e del
Consiglio del 20 maggio 1997 "riguardante la protezione dei consumatori in
materia di contratti a distanza", volta a creare un sistema uniforme di tutele
in relazione ai contratti stipulati dai consumatori dei diversi Stati membri.
Finalità non dissimili ricorrono nella dichiarazione congiunta
sottoscritta il 5 dicembre 1997 fra l’Unione europea e gli Stati Uniti
(Joint Eu-Us Statement on electronic commerce), nonché nella
Comunicazione (97) del 15 aprile 1997 della Commissione europea al Parlamento e
al Consiglio, relativa a "Un’iniziativa europea in materia di commercio
elettronico".
La definizione di e-commerce
Quest’ultimo documento definisce il commercio elettronico (electronic
commerce o e-commerce o trading on-line) come lo svolgimento di operazioni
commerciali e di transazioni on-line. Tra queste sono comprese
attività diverse, eseguite per via elettronica, quali la
commercializzazione di beni e servizi, la distribuzione di contenuti digitali,
l’effettuazione di operazioni finanziarie e di borsa, gli appalti
pubblici ed altre procedure di tipo transattivo. Sotto questa denominazione
sono inclusi sia il commercio elettronico "indiretto" che il commercio
elettronico "diretto". Nel primo caso, la fase preliminare di ordine ed,
eventualmente, anche quella di pagamento del bene vengono effettuati tramite
web. La consegna, invece, avviene out-line; per cui il bene, analogamente alla
vendita per corrispondenza, giunge fisicamente al domicilio o alla sede
dell’acquirente attraverso i tradizionali canali di distribuzione (es.
vettore, posta etc.). Nel secondo caso, invece, in virtù della
smaterializzazione dell’oggetto della transazione, la consegna dei beni
digitali immateriali (assimilati ai servizi) avviene on-line: la
distribuzione, infatti, prescinde sia da una presenza fisica dell’impresa
sul territorio che da strutture produttivo-distributivo-commerciali della
stessa.
Internet e la rivoluzione del commercio
In verità la globalizzazione informatica, intesa come progressivo
annullamento dello spazio fisico nelle transazioni finanziarie, commerciali,
sociali e culturali, ha rivoluzionato sia le abitudini dei consumatori che
l’attività degli imprenditori. La possibilità, per le
imprese, di servirsi del cyberspazio, termine utilizzato per indicare il mondo
virtuale di Internet, ha portato all’attenzione generale il problema di
determinare e tassare il reddito in tal modo prodotto dalle stesse.
D’altronde, la particolarità dell’attività commerciale
a mezzo Internet è proprio quella di consentire talune operazioni
prescindendo da elementi materiali, tipicamente il bene ceduto o la sede
dell’attività, che, nelle forme del t-commerce
(cioè del commercio tradizionale), ricollegano una transazione a un
determinato territorio.
Le conseguenze fiscali dell’e-commerce
Tale peculiarità, emersa sin dalle prime riflessioni sulle conseguenze
fiscali dell’e-commerce, ha rappresentato l’elemento
potenzialmente in grado di rendere non applicabili i tradizionali metodi di
imposizione previsti dalla fiscalità internazionale. Da qui la
necessità di prevedere regole fiscali specifiche e autonome. Per quanto
sopra, nell’ambito del commercio elettronico, sono di difficile
individuazione i presupposti di sussistenza della stabile organizzazione;
concetto, quest’ultimo, utilizzato, principalmente, dai trattati
internazionali contro le doppie imposizioni, per fissare con certezza la
potestà impositiva sull’attività d’impresa svolta, in
un determinato territorio, da parte di soggetti non residenti.
Il sistema ante riforma
Nonostante la disposizione contenuta nell’articolo 20, lett. e), del
(vecchio) Tuir, la quale prevedeva che, ai fini dell’applicazione
dell’imposta nei confronti dei non residenti, si considerano prodotti nel
territorio italiano "i redditi di impresa derivanti da attività
esercitate nel territorio dello Stato mediante stabili organizzazioni",
mancava, nel sistema ante-riforma, una definizione di "stabile
organizzazione". Questa vacatio, che aveva rappresentato numerosi problemi
interpretativi e applicativi, era stata risolta dalla prassi e dalla
giurisprudenza, mediante un sistematico rinvio alla definizione contenuta
nell’articolo 5 del Modello Ocse. Per tali ragioni, quindi, in attuazione
della legge delega n. 80 del 7 aprile 2003 che prevedeva la "definizione
della nozione di stabile organizzazione sulla base dei criteri desumibili dagli
accordi internazionali contro le doppie imposizioni", con l’articolo
4, comma 1, lett. a) del decreto legislativo 12 dicembre 2003, n. 344, si
è colmata la predetta lacuna, definendo con l’articolo 162 del
(nuovo) Tuir, la stabile organizzazione come la "sede fissa di affari per
mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la
sua attività sul territorio dello Stato".
Le condizioni necessarie e sufficienti
In particolare, la normativa fiscale prevede, affinchè possa
configurarsi una stabile organizzazione, il concorso di taluni elementi
costitutivi fondamentali (ccdd. tests): l’esistenza di una sede
d’affari, ovvero di una installazione (vale a dire un insieme di beni
materiali, come macchinari ed attrezzature inclusi i locali utilizzati per
l’esercizio dell’impresa, situati in un determinato luogo e con un
certo grado di permanenza); l’esercizio dell’attività da
parte dell’impresa mediante l’utilizzo di tale sede d’affari;
l’autonomia funzionale rispetto alla casa-madre (quest’ultimo
elemento è stato teorizzato dall’Amministrazione finanziaria con
la risoluzione n. 460196 del 13 dicembre 1989). Con specifico riferimento alla
stabile organizzazione tecnologica, la citata normativa interna, che si
discosta dal richiamato articolo 5 del Modello Ocse, dispone, uniformandosi,
soltanto in parte, a quanto contenuto nei paragrafi dal 42.1 al 42.10
dell’ultima versione del Commentario al predetto Modello, che "non
costituisce di per sé stabile organizzazione la disponibilità a
qualsiasi titolo di elaboratori elettronici e relativi impianti ausiliari che
consentano la raccolta e la trasmissione di dati ed informazioni finalizzati
alla vendita di beni e servizi".
Le posizioni in dottrina e il modello Ocse
Alcuni autori hanno affermato che il legislatore fiscale, nel ricorrere alla
locuzione "elaboratori elettronici e relativi impianti ausiliari che
consentano la raccolta e la trasmissione di dati ed informazioni", abbia
utilizzato la traduzione letterale del termine anglosassone server. In
verità il comma 5 dell’articolo 162 del Tuir, integrando il
novero delle fattispecie negative, previste dal 4° comma, che non
consentono di delineare l’esistenza di una stabile organizzazione sul
territorio dello Stato, sembrerebbe non offrire una soluzione esaustiva in
rapporto a un fenomeno che vede il web come una nuova piazza di scambi di
affari. Tuttavia, si potrebbe interpretare il predetto comma 5 facendo tesoro
dell’orientamento espresso dall’Organizzazione e Cooperazione per
lo Sviluppo Economico. In estrema sintesi i punti salienti espressi
dall’Ocse sono i seguenti: un sito web non costituisce una
stabile organizzazione; un web-site hosting arrangement normalmente non
configura una stabile organizzazione; un Internet service provider normalmente
non costituisce una stabile organizzazione; l’ubicazione di attrezzature
informatiche Edp (Electronic Data Processing), che si può
ravvisare nel caso di un server, può individuare una stabile
organizzazione a condizione che un’impresa ivi svolga funzioni
significative, fondamentali e centrali del proprio business. Da
più parti è stato evidenziato come la disposizione interna, in
realtà, non chiarisce se, per escludere la presenza di una stabile
organizzazione, sia necessaria l’idoneità degli elaboratori e degli
impianti a garantire una eventuale vendita di beni o servizi, ovvero il
perfezionamento di tale vendita. Altri autori, ancora, hanno osservato che non
appare chiara la ratio della norma.
Stabile organizzazione e server
Probabilmente una spiegazione interpretativa potrebbe essere che
l’ordinamento domestico tende a evidenziare il carattere in sé
meramente ausiliario o preparatorio dell’attività aziendale
(raccolta dati, servizio informazioni, pubblicità, etc.), anche quando
essa viene esercitata per il tramite di server. In altri termini la normativa
prevede la possibilità che un server possa costituire stabile
organizzazione soltanto nel caso in cui, attraverso gli "elaboratori
elettronici e relativi impianti ausiliari", vengano svolte core functions
afferenti il business dell’impresa. Quindi, se utilizzato in un dato
luogo e per un determinato periodo di tempo tale da identificare una sede fissa
d’affari, il server può essere ricompreso nel concetto di
stabile organizzazione. Semplificando, una società, non residente, che
utilizzi nel territorio dello Stato italiano un server per svolgere funzioni
essenziali, sarebbe tassata per tutte le operazioni effettuate con clienti
italiani; operazioni che, pertanto, andrebbero considerate come eseguite nel
territorio dello Stato. La normativa interna, in verità, sembrerebbe non
operare alcuna distinzione tra sito web e server, nè in
alcun modo sembrerebbe valutare la rilevanza del personale necessario per il
funzionamento dell’impianto.
Internet, server e provider
Tecnicamente, per sito Internet si intende un insieme di pagine web
(letteralmente "ragnatela"), ovvero una struttura ipertestuale di documenti
accessibili con un browser tramite world wide web su rete internet
(l’acronimo www indica proprio la ragnatela estesa a tutto il
mondo o ragnatela globale). In altri termini, il sito web,
combinazione di software e dati, attraverso cui gli internauti, potenziali
clienti, "navigando" confrontano prodotti, servizi e prezzi offerti, sembra
costituire l’equivalente virtuale di una struttura commerciale
dell’impresa. Il server, invece, è un computer, che utilizza un
sistema operativo di rete, dedicato all’erogazione di un determinato
servizio. Il server è costituito da un’attrezzatura meccanica che
ospita il sito web, ne contiene i dati e li rende accessibili agli utenti. Un
Internet Service Provider (Isp), infine, è una struttura
commerciale, o un’organizzazione, che offre agli utenti un accesso ad
internet con i relativi servizi. Nel linguaggio comune l’Isp è
anche detto più semplicemente provider ovvero fornitore d’accesso
a internet. Isp e stabile organizzazione nella riforma del 2003 suscita non
poche perplessità, in dottrina, l’idea di non considerare come
stabile organizzazione un Internet Service Provider, in virtù
del fatto che l’Isp non può costituire un agency dipendente
dell’impresa; altrettanto può dirsi per il web site, in
considerazione della natura intangibile del software e dei dati digitali che lo
compongono. Privilegiando quelle caratteristiche di fisicità proprie
delle macchine, con la riforma tributaria del 2003, la nozione di stabile
organizzazione è condizionata dalla presenza materiale, nel territorio,
di un server e non dalla circostanza per cui il "negozio virtuale" produce
effettivamente ricchezza tassabile in un determinato territorio. Sul punto
è stato osservato che non sembra condivisibile la decisione di
regolamentare la new economy con le stesse norme con cui si disciplina
il commercio tradizionale. Si consideri, infatti, l’ipotesi in cui vi
siano due siti web che, potendosi sostituire, di fatto, integralmente ad un
vero e proprio negozio tradizionale, svolgano, le medesime funzioni,
indirizzandosi alla medesima clientela, del medesimo Stato. Questi siti
potrebbero costituire stabile organizzazione in differenti Paesi in ragione di
una differente collocazione materiale del server che li ospita, con la
conseguenza che la territorialità dell’imposta non seguirebbe il
Paese in cui il sito opera e dove viene effettivamente prodotto il reddito
bensì dove si decide di posizionare fisicamente il server. Se quindi i
server fossero localizzati in due Paesi distinti e diversi dallo Stato in cui i
siti Internet "operano", ci si troverebbe di fronte a due stabili
organizzazioni che possono operare nello stesso mercato cui si rivolgono i
siti, senza, per questo, attribuire alcuna pretesa erariale all’hosting
country. La tassazione, infatti, avverrà nei Paesi in cui i due
server sono localizzati e non presso lo Stato in cui effettivamente
viene prodotta la "ricchezza".
Ipotesi esemplificativa
Per comprendere meglio quanto detto nel paragrafo precedente si ipotizzi il
seguente esempio: due imprese italiane, Alfa Italia e Beta Italia, agiscono nel
mercato tedesco utilizzando due siti web identici e commercializzando
lo stesso prodotto (ad es. un software per la contabilità aziendale
impiegabile solamente in Germania). Si ipotizzi, altresì, che, Alfa
Italia e Beta Italia, mediante il predetto sito Internet possano concludere
contratti di e-commerce diretto, per cui tutte le fasi
dell’operazione commerciale, tra le quali l’ordine, il pagamento e
soprattutto la consegna dei cosiddetti beni digitali, vengono perfezionate per
il tramite della rete e quindi on-line. Accertato, nella Germania, il
territorio e/o mercato di riferimento, Alfa Italia e Beta Italia, che svolgono
la loro attività mediante i due virtual stores, decidono in
ragione di un mero calcolo fiscale, e quindi opportunisticamente, di
"posizionare" i server ovvero le due stabili organizzazioni, in due
Stati differenti magari, a bassa o più favorevole imposizione tributaria
(es. Paesi Bassi e Belgio). Per quanto sopra evidenziato, in base alla vigente
normativa, potrebbero verificarsi differenti "strategie" fiscali
d’impresa. Infatti il processo di spersonalizzazione e di
delocalizzazione dei rapporti commerciali tramite Internet ha mandato in crisi
la stessa idea di "luogo di produzione del reddito" e di "stabile
organizzazione", che nella old economy è basata sulla
presenza di strutture personali e/o materiali dell’impresa, nel
territorio di un altro Stato. La potenzialità
dell’e-commerce nell’economia mondiale e le presumibili
influenze che questo può esercitare sul mercato impone, quindi, una
rivisitazione circa le problematiche attinenti le questioni tecnologiche
tributarie. Anche la soluzione accolta in sede Ocse, di attribuire rilevanza
fiscale all’eventuale presenza di un server nel territorio dello Stato,
onde configurare una stabile organizzazione dell’impresa non residente,
lascia, infatti, per più versi insoddisfatti.
La posizione dell’Unione europea
Si tenga presente, altresì, che sul piano comunitario, la direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2000, n. 31/CE,
rubricata "direttiva sul commercio elettronico", ha stabilito
l’esclusione della stabile organizzazione soltanto quando
l’operatore non residente sia titolare, in un Paese membro, di un sito
web e non anche quando lo stesso abbia invece la disponibilità
di un server.
Conclusioni
Ciò detto, le soluzioni possibili (rectius: opportune) paiono essere due:
riconoscere il sito web quale stabile organizzazione, idea peraltro
già avanzata da Spagna e Portogallo in occasione dell’approvazione
della modifica al Commentario Ocse, o, diversamente, risalire, forse più
coerentemente, al proprietario del server e tassarlo nello Stato dove abbia la
propria sede principale e, cioè, dove vengano riscontrati quei
presupposti di "fisicità" ben più credibili di quelli di un
semplice server.
Boris Bivona
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