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Focus

E-commerce e contrattazione business to consumer nella Repubblica Popolare Cinese: la disciplina sulle vendite nazionali ed internazionali di beni mobili corporali

Mercoledì 10 Gennaio 2007
autore: Rocco Gianluca Massa
L’evoluzione di Internet e l’avvento dell’e-commerce hanno segnato una svolta epocale nel nostro modo di vivere e di comunicare; l’uso della rete, la possibilità di contrattare e interagire con altri individui senza i limiti propri del mondo fisico-reale sono ormai una chiara espressione della globalizzazione ed informatizzazione raggiunta nella nostra società.
Tutti questi cambiamenti tuttavia non possono prescindere dai riflessi giuridici di cui sono portatori e l’ambito della contrattazione è certamente un aspetto che richiede una particolare “attenzione” da parte dei legislatori statali, non solo in virtù degli interessi coinvolti, ma soprattutto perché l’evoluzione del web fa dello stesso e-commerce uno dei suoi punti di forza.

Se ciò ha portato ad uno sviluppo rapido (è il caso degli USA) di normative sempre più avanzate e dettagliate inerenti i vari aspetti del commercio elettronico, vi sono nazioni in cui tale processo non è ancora del tutto completo (Italia e molti altri Paesi industrializzati) ed altre in cui è ancora agli albori. E’ innegabile pertanto come tali lacune o incertezze legislative si riflettano inevitabilmente in alcuni settori della contrattazione nazionale ed internazionale, quali il business to consumer, sempre più conosciuti ed in crescita a livello mondiale.

La Cina in quest’ottica rappresenta un soggetto “singolare” e meritevole di attenzione, non solo per il ruolo che essa ormai riveste nell’economia internazionale e per le possibilità di guadagno che offre ad imprese e consumatori di altre nazioni, ma anche per la risonanza sempre maggiore che su di essa ha la cultura (non solo giuridica) dei Paesi occidentali. Aspetto che determina non pochi problemi visto il regime vigente, le particolari restrizioni censorie che accompagnano l’utilizzo di Internet e la mancanza di un apparato normativo solido e collaudato inerente alle varie fattispecie legate al web. Tale lacuna, al pari di altre nazioni, pone non pochi problemi quando chi acquista merce in Cina è un consumatore e deve capire quale disciplina applicare al contratto.

Ferma restando la volontà delle parti di determinare la disciplina da applicare al contratto nel rispetto dei principi nazionali ed internazionali a tutela del consumatore e, ove ciò non emerga dall’atto, la determinazione di essa in via giudiziale (lex fori) o stragiudiziale (arbitrato), quanto viene trattato a seguire è una panoramica sul quadro normativo attuale relativo alla contrattazione business to consumer nella Repubblica Popolare Cinese, sia che essa coinvolga soggetti residenti nel suddetto Paese, sia che uno di essi risieda in altra nazione e che il negozio giuridico venga concluso per via telematica.

L’evoluzione dell’e-commerce nella Repubblica Popolare Cinese si colloca in un momento successivo rispetto ad altri Paesi quali Europa e USA, ciò è stato determinato principalmente dalla mancanza di una politica diretta allo sviluppo e al miglioramento dell’informatizzazione del Paese e dall’assenza di un adeguato apparato attuativo della stessa.

Al fine di meglio comprendere la legislazione nazionale relativa all’e-commerce occorre però effettuare una breve premessa sull’apparato governativo cinese. In Cina il sistema amministrativo si articola in 34 “circoscrizioni”, ripartite nello specifico in 23 province, 5 regioni autonome, 4 municipalità e 2 regioni amministrative “speciali”, tutte sotto la direzione del governo centrale con sede a Pechino sebbene dotate di una certa autonomia sul piano amministrativo, una sorta quindi di “federalismo” ma con caratteristiche proprie e non decentrato allo stesso modo degli Stati Uniti d’America.

Per quanto concerne la materia contrattuale, è importante osservare come prima del 1999 il legislatore prevedesse differenti raccolte normative a seconda che la contrattazione business to business o business to consumer avvenisse tra soggetti residenti entrambi in Cina, con uno di essi residente in altro Stato straniero o avesse per oggetto la materia tecnologica.
In particolare si distinguevano 3 atti:
• The Economic Contract Law of the People’s Republic of China del 1981;
• The Law of the People’s Republic of China on Technology Contracts del 1987;
• The Law of the People’s Republic of China on Economic Contracts Involving Foreign Interests del 1985.

Le prime due disciplinanti i c.d. domestic contracts ovvero quei negozi in cui entrambe le parti sono considerate cinesi, l’ultima relativa ai c.d. foreign economic contracts, contratti in cui una delle parti è straniera.

Dal 1° ottobre 1999 è entrata in vigore la Contract Law of the People’s Republic of China, c.d. Uniform Contract Law, legge introdotta con il fine di riformare la disciplina contrattuale, accorpare le suindicate leggi in un unico testo e colmare le principali lacune esistenti in materia.
Un importante aspetto della Uniform Contract Law è senza dubbio rappresentato dalla volontà del legislatore cinese di “adattare” la normativa cinese sui contratti a quella vigente negli altri Paesi industrializzati, e di questo intento un importante segno è costituito dalle singole disposizioni, ricalcanti quanto disposto dai Principi UNIDROIT in ambito internazionale: ad es. nel capitolo dedicato alle General Provisions vengono sanciti principi fondamentali quali l’autonomia contrattuale e la buona fede.

La Contract Law of the People’s Republic of China è strutturalmente divisa in tre parti, 428 articoli e 15 capitoli dedicati ciascuno ad una specifica fattispecie contrattuale (tra cui la vendita di beni mobili) e il suo ambito operativo abbraccia non solo il business to business ma anche il business to consumer e il commercio elettronico nazionale ed internazionale.
Da una panoramica delle disposizioni della suindicata legge quanto è senza dubbio meritevole di menzione è l’art. 10, che riconosce libertà di forma alle parti, prevedendo la forma scritta solo ove le stesse lo convengano o norme statali lo richiedano, e riconoscendo all’art. 11 valore giuridico alla contrattazione telematica effettuata in particolare con telegrammi, telex, fax, scambio elettronico di dati (EDI) e posta elettronica.
Altre importanti norme sono l’art. 16, disciplinante proposta e accettazione nella contrattazione via email ed in base al quale un’offerta per posta elettronica si considera pervenuta al destinatario nel momento in cui la stessa giunge al sistema (ad es. la casella postale e/o il Provider) designato da quest’ultimo e gli artt. 33 e 34 regolanti il momento (esecuzione della c.d. Confirmation Letter) e il luogo (sede d’affari del destinatario o luogo di formazione dell’atto) in cui un contratto stipulato tramite messaggi di posta elettronica si considera concluso.
Relativamente al business to consumer, gli artt.123 e ss. contemplano la libertà di scelta delle parti in merito alla legge da applicare alla fattispecie contrattuale qualora una di esse non risieda in Cina, prevedendo però in mancanza di tale indicazione che il contratto sarà regolamentato dalle norme del Paese con cui questo presenta il collegamento più stretto.

Giuristi cinesi tuttavia non hanno mancato di muovere critiche al Contract Law, in particolare con riguardo allo stesso art. 16, che a parere degli stessi è fin troppo generico e limitativo, disponendo una semplice “equivalenza” della contrattazione via email rispetto a quella cartacea, senza però specificare finalità e termini per poter comparare effettivamente la prima alla seconda, non realizzando pertanto quella “equivalenza funzionale” cui la Legge Modello dell’UNCITRAL del 1996 sul Commercio Elettronico richiama e col rischio di vedere non riconosciuta, in sede giudiziaria, la valenza del contratto telematico. Sebbene dalla fine del 1999 in alcune città cinesi quali Shanghai, Shenzhen, Hainan etc. siano stati costituiti enti certificatori in materia di documento informatico, non mancano casi (ad es. la provincia di Hainan) in cui è stata introdotta una vera e propria regolamentazione autonoma in materia.

Il 1° aprile 2005 è entrata in vigore la Law of the People's Republic of China on Electronic Signatures, ovvero la legge che disciplina la firma elettronica e il documento informatico in Cina. Tale atto, diviso in 5 capitoli e 36 articoli, specifica gli elementi necessari al documento informatico per soddisfare i requisiti legali propri della documentazione scritta, fornendo tutta una serie di regole in materia di certificazione elettronica.
In particolare l’art. 2 definisce la firma elettronica come “quel corpo di dati, in forma elettronica, contenuto o allegato ad un data message, per identificare il firmatario e certificarne la paternità dello stesso in merito al contenuto”, e il data message come “un messaggio creato, inviato, ricevuto o memorizzato nella forma elettronica, ottica, magnetica ed altre simili”, precisando all’art. 4 che il testo elettronico per avere valore legale deve essere riproducibile in forma tangibile e consultabile in ogni momento fino ad equiparare legalmente all’art. 14 la firma elettronica a quella olografa.
Da un’analisi degli articoli 15 e ss. si evince una certa genericità e differenza rispetto alle varie normative europee sulle “segnature” elettroniche; se in Italia infatti il D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’Amministrazione Digitale) presenta alcune contraddizioni terminologiche ed espressioni normative poco chiare in materia di firma elettronica (reduce da una cattiva traduzione ed interpretazione della Direttiva Europea 1999/93/CE), il legislatore cinese non lo è da meno, limitandosi in alcuni passaggi ad una forma espressiva “condizionale” e imprecisa.

Facendo un passo indietro, un’ulteriore conferma di ciò si palesa dall’art.13 dove la formula “Parties may use any other reliable electronic signatures agreeable to themselves.” pone obiettivamente una prospettiva e libertà di forma eccessivamente ampia, che, quantunque le singole circoscrizioni amministrative possano plasmare con iniziative normative dirette, non è sottovalutabile sul piano dottrinale e processuale per un settore già di per sé “labile” contrattualmente quale è il business to consumer con soggetti cinesi.

Concludendo, è innegabile lo sforzo e l’interesse della Repubblica Popolare Cinese verso Internet, le nuove tecniche di comunicazione elettronica e la figura contrattuale del consumatore (nazionale ed internazionale), ma al contempo è evidente come un vero processo di evoluzione normativa in tale ambito sia ancora primordiale e richieda del tempo nonchè la giusta “maturazione” giuridica e culturale per offrire una disciplina stabile e concretamente applicabile.
Aspettativa parzialmente sterile ove si pensi che a tali sforzi legislativi si accompagnano ancora oggi contraddizioni di natura governativa ed istituzionale che compromettono tale evoluzione. Eloquente è la censura che ruota attorno al Web ed impedisce la libera fruibilità e accessibilità di siti occidentali ai cittadini cinesi o viceversa la visibilità di portali cinesi all’estero per il semplice fatto di pubblicare informazioni obiettive sulla realtà politica ed economica in Cina.


Rocco Gianluca Massa



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