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La Corte di Giustizia interviene sulle aste online. Cara eBay, nell'UE c'è un limite a tutto.
Venerdì 02 Settembre 2011
autore: Rocco Gianluca Massa "Il gestore di un mercato online (eBay) è responsabile per le sue aste
quando, in relazione alle stesse, svolge un ruolo attivo che gli permette di
avere conoscenza o controllo circa i dati memorizzati sui suoi server,
ruolo che consiste, in particolare, nell’ottimizzare la presentazione
delle offerte in asta o nel promuoverle. Quando anche non abbia svolto
un ruolo attivo, in un'azione risarcitoria conseguente a talune vendite
effettuate sul suo sito, non può tuttavia avvalersi dell’esclusione di
responsabilità prevista dalla Direttiva 2000/31/CE, quando sia stato al corrente di fatti o circostanze in base ai quali un
operatore diligente avrebbe dovuto constatare l’illiceità delle aste di che
trattasi e, di conseguenza, non abbia prontamente agito per rimuovere le
inserzioni incriminate o disabilitarne l'accesso."
E' questo in sostanza quanto stabilito dalla Corte di
Giustizia dell'Unione europea in Grande Sezione con la sentenza del 12
luglio 2011 a proposito del ruolo di eBay e della posizione
responsabilistica per le vendite all'asta operate sul suo sito. Una
pronuncia incidentale e meramente interpretativa di talune disposizioni
comunitarie (tra cui quelle della Direttiva sull'e-commerce), ma che di
peso si inserisce nell'ormai pluriennale contenzioso in materia d'aste online che vede
contrapposti da un lato la multinazionale francese L'Oréal e dall'altro il
gruppo eBay. Reo di permettere la vendita non autorizzata sul proprio sito di
alcuni prodotti del colosso della cosmesi.
Ben dieci le questioni pregiudiziali sottoposte al vaglio della Corte di
Giustizia UE, tutte sollevate dalla High Court of Justice (l'Alta Corte di
Giustizia d'Inghilterra e Galles) nel corso di un procedimento -parallelo ad
altri in Europa- promosso da L'Oreal nei confronti di eBay e di alcuni suoi
venditori per aver permesso la conclusione di transazioni commerciali in
violazione dei suoi diritti di proprietà industriale.
I fatti che avrebbero portato alla causa risalirebbero precisamente al 2007,
quando la L'Oréal, notando la presenza di prodotti venduti illegalmente sul
sito inglese ebay.co.uk,
aveva manifestato "preoccupazione" a eBay per la sorte dei propri marchi.
Dei 17 articoli da cui è scaturito il contenzioso, 2 sarebbero risultati
contraffatti, mentre i restanti 15 avrebbero violato a vario titolo i diritti di
alcuni marchi di L'Oréal in quanto non vendibili, destinati al mercato del Nord
America e non europeo o commercializzati senza confezione.
eBay sarebbe stata additata da L'Oréal quale responsabile delle suddette aste
sostanzialmente per due ragioni:
1) per averne reso possibile lo svolgimento e visualizzazione (insieme
ad altre potenzialmente lesive dei suoi diritti) sul sito ebay.co.uk;
2) per averne reso possibile la promozione attraverso il servizio pubblicitario
AdWords di Google. In quest'ultimo caso, alla digitazione da parte di
un utente su Google di parole chiave corrispondenti a taluni marchi di L'Oréal,
eBay avrebbe volutamente predisposto la comparsa -tra i risultati del noto
motore di ricerca- di link pubblicitari diretti a pagine di aste lesive dei
diritti della controparte.
Prima di entrare nel merito di tali "responsabilità ", val la pena sintetizzare
il contenuto delle principali questioni poste dall'High Court of Justice al
vaglio della Corte di Giustizia europea, precisando ai non addetti ai lavori che
la sentenza in oggetto, anche se ricollegata ad un procedimento in corso
oltremanica, ha un'efficacia vincolante sul piano
giuridico-interpretativo in tutti gli Stati membri dell'Unione europea e quindi
anche in Italia.
Con le questioni pregiudiziali l'Alta Corte britannica ha richiesto un parere
vincolante:
- sulla liceità dell'offerta online di tester di profumi e cosmetici privi di
confezione e originariamente non destinati alla vendita al pubblico;
- sulla conseguente legittimità per il titolare del marchio di opporsi alla
loro commercializzazione (vista la mancanza di informazioni su ingredienti e
scadenza, nonché il pregiudizio al marchio che una tale vendita potrebbe
arrecargli);
- sulla possibilità per L'Oréal di vietare a eBay l'uso di segni identici ai
propri marchi tramite servizi pubblicitari come AdWords di Google;
- sulla possibilità -e in caso affermativo a quali condizioni- per L'Oréal di
vietare la vendita su eBay.co.uk di prodotti non commercializzati nello spazio
europeo o commercializzati contro il suo consenso;
- sulla differenza, in termini di violazione dei diritti di proprietÃ
industriale, tra l'uso di un segno identico al marchio di L'Oréal direttamente
sul sito di eBay e quello in un link sponsorizzato quale è quello di AdWords;
Tutte questioni formulate e interpretate alla luce degli allora vigenti
(trattandosi di fatti accaduti nel 2007) Direttiva 89/104/CEE sul ravvicinamento delle legislazioni
degli Stati Membri in materia di marchi d'impresa e Regolamento (CE) n. 40/94 sul marchio comunitario, per le
cui interessanti risposte -data la diversa tematica al centro del presente
contributo- rinvio il lettore al testo originario della sentenza, limitandomi in
questa sede solamente a evidenziare quanto stabilito dal massimo organo
giurisdizionale dell'UE in merito all'applicabilità o meno ad una certa asta
della normativa europea in materia di tutela dei marchi.
In linea, infatti, con quanto in precedenza già stabilito, la Corte ha ribadito
che l'accessibilità di un sito Internet nel territorio di un dato Stato
europeo (dove un marchio è stato registrato) non è sufficiente a concludere
che le inserzioni in esso presenti siano destinate ai soli consumatori che si
trovano in tale territorio e siano quindi soggette al diritto comunitario
vigente in materia.
Per dirla con un esempio, se un'asta è inserita e pubblicata originariamente su
ebay.it, ciò non implica automaticamente che i soli destinatari siano
consumatori italiani.
Il principio, come è evidente, richiama un meccanismo ben noto agli ebayers,
che spesso tra le opzioni di ricerca del sito d'aste preferiscono visualizzare
anche offerte originariamente inserite in altri portali di eBay o destinate a
utenti stranieri.
La Corte di Giustizia al di là del suddetto principio ha liquidato la questione
con un rinvio al giudice nazionale quale soggetto incaricato -di volta
in volta- di valutare in base a specifici elementi se una certa asta è
destinata ai consumatori che si trovano in un dato territorio o meno
(ad es. valutando i Paesi verso i quali il venditore offre la spedizione).
Tornando all'argomento di apertura (e a parere di chi scrive di maggior
interesse per ebayers e addetti ai lavori), alla responsabilitÃ
dell'auction provider sono dedicate la articolate questioni n. 9 e 10
nelle quali, ai sensi della Direttiva 2000/31/CE, viene chiesto sostanzialmente
alla Corte:
- se L'Oréal possa vietare a eBay l'uso dei suoi marchi anche se frutto di
semplice memorizzazione di informazioni fornite da un suo venditore (c.d.
hosting). Quindi, se innanzitutto il servizio fornito da eBay
possa qualificarsi di "hosting" secondo le previsioni della
Direttiva sull'e-commerce, e se, per effetto dell'inserimento di aste
aventi ad oggetto prodotti dei marchi incriminati, eBay ponga in essere
un'attività connessa con un uso illecito dei marchi, realizzando, alla luce
dell'art. 14 n.1 della Direttiva 2000/31/CE, una condotta responsabile,
impugnabile da parte del titolare del marchio e -in caso affermativo- passibile
di richieste risarcitorie;
- qualora eBay sia "al corrente" del fatto che sul suo sito gli utenti abbiano
pubblicizzato, offerto o venduto prodotti in violazione di marchi registrati e
che tali attività continuino nel tempo, se una siffatta conoscenza
abbia rilevanza giuridica alla luce della direttiva europea in
questione;
- nel caso in cui un sito come eBay sia stato utilizzato in una data circostanza
per violare un marchio registrato, se il titolare del marchio possa
ottenere un provvedimento giudiziario "generalizzato" nei confronti
dell'auction provider al fine di impedire il consumarsi di ulteriori
violazioni di detto marchio.
Interrogativi particolarmente articolati, il cui sforzo di renderli più
comprensibili in questa sede è risultato non indifferente, a causa della scarsa
chiarezza e linearità sintattica che accompagnano taluni punti della suddetta
sentenza.
Le due questioni, inoltre, non sono le uniche a "toccare" il tema della
responsabilità del provider d'aste, potendosi rintracciare
interessanti spunti di riflessione anche nelle argomentazioni che accompagnano
le risposte della Corte alle altre -già sintetizzate in apertura- questioni
sulla tutela e uso legittimo dei marchi di L'Oréal.
In entrambi i casi, a parere di chi scrive, i chiarimenti forniti dalla Corte di
Giustizia se da un lato sembrano rispondere solo ad alcuni
degli innumerevoli dubbi qualificativi che da oltre un decennio serpeggiano nel
mondo delle aste online, dall'altro deludono, ed avrebbero potuto richiamare in
modo più mirato le dinamiche del sito d'aste.
La sensazione che si ha infatti leggendo le argomentazioni della Corte è che la
stessa -al di là dei suoi limiti funzionali- si sia volutamente
mantenuta dall'andare oltre certi paletti nella qualificazione dei meccanismi di
eBay, restando fin troppo incollata agli interrogativi pregiudiziali e
preferendo "chiudere" le questioni più spinose con soluzioni pilatesche -come
già visto- di rinvio al giudice o al diritto nazionale.
Da questo punto di vista, credo si sia persa un'ottima occasione per
fare chiarezza in materia partendo dal dato normativo europeo.
Vediamo allora quali dubbi ha quanto meno dissipato la Corte di Giustizia.
Innanzitutto ha riconosciuto che, nel momento in cui eBay pubblicizza le sue
aste tramite AdWords, è un'inserzionista. Il titolare di un marchio,
pertanto, può vietare a eBay di fare pubblicità ad aste di prodotti lesivi dei
suoi diritti quando, una tale pubblicità , non permetta o permetta difficilmente
all'utente normalmente informato e ragionevolmente attento, di sapere se i
prodotti o i servizi a cui l'annuncio si riferisce provengano dal titolare del
marchio, da una impresa a questi economicamente collegata o, al contrario, da un
terzo.
L'1+1 che la Corte non ha fatto è invece il seguente: poiché un annuncio
testuale di AdWords permette il solo inserimento di un titolo, due righe
descrittive e due URL di riferimento al sito pubblicizzato (URL di
visualizzazione + URL di destinazione), la sua struttura (oggi,
ma presumo ancor di più nel 2007), di fatto, non permetterebbe
facilmente di informare l'utente che gironzola su Google sull'origine dei
prodotti venduti in asta. Di conseguenza, il titolare di un marchio,
potrebbe precludere costantemente a eBay la pubblicizzazione delle aste
riguardanti i propri prodotti.
Tanto premesso, un'interessante risposta fornita dalla Corte di Giustizia e di
indubbio interesse per gli ebayers, è quella concernente il ruolo
attivo di eBay nelle sue aste alla luce delle c.d. tariffe d'inserzione e delle
commissioni sul valore finale che la stessa da sempre percepisce e delle varie
funzionalità che offre ai merchants per agevolare loro l'attività di
vendita.
Riconosciuto pacificamente il ruolo di hoster e le esenzioni di
responsabilità di cui alla Direttiva 2000/31/CE di eBay, pur in presenza di
tariffe e commissioni percepite per le vendite all'asta, la Corte non ha
tuttavia escluso che il trattamento dei dati forniti dagli ebayers non
avvenga da parte del sito d'aste in modo puramente tecnico e automatico come la
Direttiva sull'e-commerce vorrebbe, concretizzandosi invece in
un’attività di assistenza consistente nell’ottimizzare la presentazione
delle offerte in vendita incriminate e nel promuoverle. In una siffatta
circostanza, pertanto, eBay non assumerebbe una posizione neutra tra
venditore e acquirente, bensì un ruolo attivo, atto a conferirgli una
conoscenza o un controllo dei dati relativi a dette offerte.
La Corte, almeno su questo punto, è parsa abbastanza chiara:
ottimizzando l'attività di vendita di merce vietata, eBay non
assumerebbe più una veste neutrale. Di conseguenza, non potrebbe
avvalersi, riguardo a tali vendite, della deroga in materia di responsabilitÃ
di cui all’art. 14 della Direttiva 2000/31/CE.
Una conclusione di indubbio interesse, la cui formulazione, tuttavia, è
destinata a rimanere al condizionale: per la Corte di Giustizia, infatti,
l'ultima parola sul punto spetta comunque al giudice nazionale.
Arrivati a questo punto ci si chiede come mai, in oltre 25 pagine di sentenza,
il collegio giudicante -pur richiamandolo assiduamente- non si sia degnato di
chiarire decentemente il concetto di ottimizzazione (!)
Quale sia stata la ragione di tale scelta, una dedicata puntualizzazione
avrebbe assunto, probabilmente, una
portata deflagrante in relazione alle poliedriche attività che eBay pone in
essere nell'interesse dell'utenza. Attività sulle quali il
sottoscritto ha già espresso le proprie perplessità più volte in passato.
Da un punto di vista squisitamente lessicale, infatti, "ottimizzare" identifica
un'attività diretta ad ottenere il massimo vantaggio o profitto col
minor rischio (o dispendio) possibile di risorse.
Ora, se guardiamo ai vari modi con cui eBay "ottimizza" l'attività dei propri
iscritti, se consideriamo anche solo i vari strumenti offerti a tal fine (si
pensi ad es. al "Gestore delle vendite", allo strumento di "Analisi
delle vendite", al "Negozio eBay", al "Turbo Lister"
ecc.) l'auction provider si collocherebbe praticamente e
obiettivamente agli antipodi del concetto di prestatore intermediario
beneficiato dalla Direttiva 2000/31/CE!
La questione ove sviscerata aprirebbe scenari inquietanti per
il gestore dell'e-marketplace, ma purtroppo -anche in questo caso- alla
possibilità di infliggere una stoccata interpretativa letale in materia di aste
online, la Corte ha preferito recidere un'ovvia deduzione con l'ennesimo rinvio
al giudice nazionale.
Proseguendo, altro nodo al pettine affrontato dai giudici europei, è quello
legato alla possibilità o meno di ritenere eBay "al corrente" dell'illiceitÃ
delle sue aste e quindi responsabile per le transazioni
concluse.
Affinché tale consapevolezza sussista, alla luce dell'art. 14 della direttiva
2000/31/CE, la Corte di Giustizia ha ricompreso qualsiasi situazione nella quale
il provider d'aste venga ad essere, in qualunque modo, al corrente di
tali fatti o circostanze. In particolare quando scopra l’esistenza di
un’attività o di un’informazione illecita a seguito di un esame effettuato
di propria iniziativa o a seguito anche di una sola notifica/segnalazione
ricevuta. Elemento, quest'ultimo, che per gli abusi e le incertezze a
cui si presta, deve essere comunque valutato di caso in caso dal giudice
nazionale.
Le argomentazioni della Corte si chiudono, anche su questo punto, con il
richiamo alla già vista attività di "ottimizzazione" delle vendite all'asta,
quale sinonimo di ruolo attivo, di "consapevolezza" e quindi di responsabilitÃ
del gestore dell'e-marketplace.
Sull'ultima questione, quella della possibilità per il titolare del marchio
leso di ingiungere all'auction provider di adottare
provvedimenti atti ad impedire il consumarsi di ulteriori illeciti (in
questo caso violazioni dei diritti dei marchi di L'Oréal), la Corte di
Giustizia, in linea con le Direttive 2004/48/CE e 2000/31/CE, e contrariamente alla tesi di eBay secondo cui
tale possibilità debba essere ammessa solo in presenza di violazioni specifiche
e chiaramente individuate, ha ribadito che gli organi giurisdizionali nazionali
possano ingiungere al prestatore di un servizio online, quale colui che mette a
disposizione degli utenti di Internet un mercato online, di adottare
provvedimenti che contribuiscano in modo effettivo, non solo a porre
fine alle violazioni condotte attraverso tale mercato, ma anche a prevenire
nuove violazioni.
Sulla natura delle misure oggetto di tale ingiunzione, in sostanza sul
facere imponibile a eBay, i giudici europei proprio in
virtù del richiamo alle suddette direttive, hanno evidenziato la possibilitÃ
di poter costringere il provider d'aste -quando non vi provveda
spontaneamente- a sospendere gli accounts dei venditori autori delle violazioni
dei diritti altrui ma anche ad adottare misure che consentano di agevolare
l’identificazione degli stessi venditori. Misure che, in ogni caso, devono
risultare effettive, proporzionate, dissuasive e tali da non creare
ostacoli al commercio legittimo.
Quest'ultimo passaggio se da un lato riprende alla lettera quanto previsto dal
legislatore europeo, dall'altro non convince e lascia un alone di
incertezza sull'efficacia degli strumenti e delle tecniche adottabili
per prevenire concretamente nuove violazioni.
L'interrogativo, infatti, nasce spontaneo: come è possibile per un
provider con milioni di iscritti prevenire efficacemente l'inserimento di aste
illecite?
Nella vicenda in esame, L'Oréal prima e la High Court of Justice poi, hanno
ritenuto insoddisfacente il famoso programma VeRO (il programma di eBay per la tutela
dei diritti di proprietà intellettuale), riconoscendo la possibilità per il
sito d'aste di utilizzare ulteriori filtri, di inserire nelle sue regole il
divieto di vendita -senza il consenso dei titolari dei marchi- di taluni
prodotti, ma anche la possibilità di imporre restrizioni supplementari sulle
quantità di prodotti che possono essere oggetto di annunci simultanei e quella
di applicare sanzioni in modo più rigoroso.
Ottimi suggerimenti, ma inefficaci fintanto che la loro realizzazione
-come si presume avverrebbe almeno in parte- sia affidata ad un
software. La relativa facilità , infatti, con cui ancora oggi è
possibile iscriversi al sito bypassando i controlli sull'identità degli utenti
e l'impiego di parole chiave mirate per raggirare agevolmente taluni filtri,
unitamente alla tempistica necessaria per un intervento da parte dell'assistenza
clienti a fronte di una segnalazione, garantiranno, a parere di chi
scrive, ancora una certa longevità al proliferare di aste del genere su eBay.
Avv. Rocco Gianluca Massa
Studio Legale Massa - www.legalemassa.eu
Responsabile www.intertraders.eu
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